domenica 17 luglio 2016

3.14 la costante universale

 


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La costante π appare un po’ ovunque; nella matematica e nella fisica, nella geometria come pure nella  statistica. In geometria  π viene definito come il rapporto tra la circonferenza e il diametro di un cerchio. Contrariamente al pensiero comune, π non è una costante fisica o naturale, quanto piuttosto una costante matematica definita in modo astratto, indipendente dalle misure di carattere fisico. Le prime 64 cifre decimali di π sono:

3,14159 26535 89793 23846 26433 83279 50288 41971 69399 37510 58209 74944 592

π è un numero irrazionale, cioè non puo’ essere scritto come quoziente di due interi. Questo è stato provato nel 1761 da Johann Heinrich Lambert. Inoltre, è un numero trascendente (ovvero non è un numero algebrico): questo fatto è stato provato da Ferdinand von Lindemann nel 1882 e significa che non ci sono polinomi con coefficienti interi o razionali di cui π è radice. Di conseguenza, è impossibile esprimere π usando un numero finito di interi, di frazioni e delle loro radici.
Questo risultato stabilisce a fortiori l'impossibilità della quadratura del cerchio, cioè la costruzione, con sola riga e compasso, di un quadrato della stessa area di un dato cerchio. Il valore di pi, e’ un vero numero irrazionale, nel senso che il suo sviluppo decimale non ha mai fine come può essere visto meglio scrivendo pi greco come sviluppo in termini di frazioni:

4(1/1 - 1/3 + 1/5 - 1/7 + 1/9 - ...)

Per i matematici la natura infinita di tale costante, significa che non c’e’ una relazione esatta tra la circonferenza di un cerchio e il suo raggio. La natura infinita comunque non e’ la cosa più interessante di pi greco. Lo e’  invece la sua universalita’,  cioe’ la presenza di tale costante nei posti più impensabili.
Nonostante sia un numero irrazionale, esso può essere usato per descrivere molti aspetti fondamentali del mondo che ci circonda. Per esempio, il Prof. Hans-Henrik Stolum dell’Università’ di Cambridge, ha calcolato per diversi fiumi in diverse zone geografiche il rapporto tra la reale lunghezza del fiume (seguendo cioe’ la sua traiettoria) e la distanza in linea d’aria. E cosa ha trovato? Esattamente pi greco.
Einstein scoprì che pi greco era un elemento cruciale nelle sue equazioni di Relatività Generale come anche nella sua “costante cosmologica” che sviluppò quando era avanti con gli anni e che definì come la forza che previene l’espansione dell’Universo. Nella teoria della relativita’ generale la forza di gravita’ esercitata da un corpo viene interpretata come la deformazione (curvatura) dello spazio tempo in cui gli altri corpi si muovono. In termini matematici questo viene espresso sinteticamente dalle equazioni

Gµν + Λgµν = 8 πGTµν  

dove il primo termine rappresenta la geometria dello spazio-tempo, il termine a destra del segno uguale il contenuto di materia-energia e il secondo membro contiene la costante cosmologica indicata con Λ e responsabile secondo gli scienziati (e contrariamente a quanto pensava Einstein) dell’attuale accelerazione dell’universo. Ancora una volta pi greco fa la sua bella compara addirittura nelle equazioni che regolano l’intero universo.  
Heisenberg usò la costante pi greco nel suo famoso principio di incertezza in meccanica quantistica mentre Coulomb la usò nella sua legge della forza elettrica e Keplero nella sua terza legge del moto planetario.
Pi greco e’ stato trovato anche nel famosissimo insieme di Mandelbrot.


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Questa immagine e’ ottenuta considerando l’insieme dei numeri complessi C (cioè numero del tipo x+iy con x e y numeri reali e i l’unita’  immaginaria) tali che la successione definita da:

zn+1=zn2+c            zo=0

non e’ divergente (cioe’ non esplode all’infinito). L’insieme e’ un frattale  e, nonostante la semplicità della definizione, ha una forma molto complessa. Solo con l’avvento dei computer e’ stato possibile visualizzarlo in tutti i suoi dettagli. L'insieme deve il suo nome a Benoît Mandelbrot che nel 1975 nel suo libro Les Objects Fractals: Forme, Hazard et Dimension rese popolari i frattali. In questo libro Mandelbrot introdusse il termine frattale per descrivere alcuni oggetti matematici che sembravano avere un comportamento "caotico". Questo genere di fenomeni nasce dalla definizione di curve o insiemi tramite funzioni o algoritmi ricorsivi.

Nel 1991, Dave Boll, uno studente in scienza dei computer dell’Università’ del Colorado, stava cercando di convincere se stesso che la connessione tra il cardioide di Mandelbrot e il disco alla sua sinistra (vedi freccia rossa nella figura sottostante) avvenisse solo tramite un punto c=(-0.75,0). Non era preparato a quello che stava per presentarsi ai suoi occhi. Per verificare, effettivamente che la strozzatura dell’insieme fosse infinitamente sottile, stava verificando dopo quante iterazioni i punti della forma sfuggivano all’infinito.

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Nella tabella, il numero di iterazioni per diversi valori di epsilon (un numero molto piccolo per rappresentare la sottigliezza della strozzatura).

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 Numero iterazioni per diversi valori di epsilon.

Se  consideriamo il prodotto di epsilon per il numero di iterazioni otteniamo quello che sorprese tanto Dave, e credo anche voi adesso, il tanto famigerato numero pi greco.

Nella scienza, in geografia e in astronomia, pi greco e’ un po’ ovunque, per qualche ragione che ancora sfugge ai matematici e agli scienziati, almeno fino ad oggi.

Ma spingiamoci oltre entrando in un campo che nulla a che fare con la scienza: cosa ha a che fare pi greco con i cerchi nel grano? Sembra che, se veramente esistono degli alieni nel profondo universo, questi conoscano la matematica ed in particolare il numero pi greco. Il primo Giugno del 2011 infatti, in Inghilterra vicino al Barbury Castle in Wiltshire e’ apparso un cerchio nel grano del diametro di 150 piedi che sembra rappresentare correttamente le prime 10 cifre di pi greco.

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Guardando la figura, si può notare che i solchi nel grano a partire dal centro seguono una spirale verso l’esterno con vari punti in cui c’e’ un gradino. Questi sembrano manifestarsi con particolari angoli come si può vedere dall’immagine sotto a destra (il cerchio e’ diviso in 10 segmenti uguali con angoli di 36 gradi ciascuno).

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Partendo dal centro, la prima sezione e’ larga 3 settori. Quindi c’e’ un gradino con al di sotto un piccolo cerchio nero che sta ad indicare il punto decimale. La sezione successiva e’ larga un solo settore e subito dopo c’e’ un altro gradino. La sezione successiva e’ larga 4 settori e cosi via fino a ritrovare il numero finale 3.141592654.

La decodifica e’ stata effettuata da un astrofisico in pensione, Michael Reed, che una volta scoperto il valore di pi greco fino alla decima cifra decimale ha annunciato: tutto questo mi lascia sbalordito. Non posso immaginare che tutto questo sia dovuto al caso.

Lucy Pringle, un’appassionata dei cerchi nel grano, ha affermato: e’ difficile pensare che un disegno cosi complicato possa essere stato creato da umani, tanto più che la notte precedente all’apparizione aveva piovuto nella zona e non sono state ritrovate tracce di fango tra i solchi del cerchio. E’ facile fare un tale disegno su un computer, ma provate a farlo di notte in un campo oscuro e a raggiungere la stessa accuratezza. Secondo Pringle, i cerchi nel grano si formano grazie a delle forze elettromagnetiche che colpiscono il suolo per alcuni nanosecondi. L’assessore della zona, Stewart Dobson, ha dichiarato: E’ difficile pensare che qualcuno abbia costruito manualmente questo disegno. O si tratta di una persona con buone conoscenze di matematica o si tratta di alieni con buona conoscenza della matematica.
Noi tendiamo a credere che, nel caso in cui gli alieni esistano davvero, essendo capaci di viaggiare per milioni di anni luce attraverso l’Universo, di sicuro conoscono pi greco. Nella figura sottostante un altro cerchio nel grano rappresentante l’insieme frattale di Julia.

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Ritorniamo alla matematica del pi greco parlando adesso del suo sviluppo decimale. Il calcolo delle cifre decimali di pi greco ha affascinato i matematici fin dall’antichità’. Ludoph van Ceulen, spese la maggior parte della sua vita per calcolare le prime 35 cifre decimali. Non riuscì a vedere la pubblicazione del suo risultato e l’unica ricompensa fu l’iscrizione fatta dai suoi parenti sulla sua lapide.
Nel Dicembre del 2002, due scienziati del Canada, Ushio e Kuroda, utilizzando un potente computer, sono riusciti a calcolare, addirittura le prime (più di 1 trilione) di cifre decimali. La computazione ha impegnato il computer (Hitachi SR8000) per più di 600 ore.

Pickover, un ricercatore della IBM, in un suo recente libro ha riportato una rappresentazione digitale a matrice delle prime 1600 cifre decimali. Egli ha colorato in nero le celle contenenti una cifra decimale del pi greco dispari e in bianco quelle pari. A fianco viene anche riportata la matrice digitale del rapporto 22/7 che e’ un’approssimazione di pi greco. Si nota subito la differenza. La disposizione delle cifre decimali del rapporto 22/7 hanno un struttura (pattern) ben definita mentre quella del pi greco (a sinistra)  sembrano disporsi in modo completamente casuale.

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Abbiamo provato a fare una cosa analoga usando 10 diversi colori, uno per ogni cifra. Le cifre decimali sono state disposte su una matrice 40*25 e l’assegnazione dei colori e’ stata fatta dando allo zero un colore freddo (blu) e passando gradualmente ai colori caldi fino al rosso della cifra 9. E’ proprio un bel effetto. Anche se, come per il caso in bianco e nero, non sembra emergere nessuna struttura particolare.

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E’ possibile fare una cosa analoga usando due colori diversi per le cifre che sono numeri primi (2,3,5,7) e quelle non prime (0,1,4,6,8,9). Nel grafico sottostante i primi sono stati indicati in rosso. Come si può vedere neanche questa volta emerge una struttura particolare. Ma si possono fare delle osservazioni. Si notano, ad esempio, dei clusters di cifre prime circondate da un “mare” di cifre non prime, e alcuni clusters che rappresentano le lettere dell’alfabeto. Si può vedere chiaramente una T, una I, una L capovolta e cosi via. E’ possibile che si riescano a riprodurre tutte le lettere dell’alfabeto giocando con tutte le cifre decimali conosciute di pi greco? Chissà. Un’altra cosa che si può notare e’ che almeno per le prime 100 cifre decimali, e’ possibile trovare una traiettoria percolativa che ci permette di spostarci dalla parte superiore del reticolo a quella in basso (si ammettono movimenti in tutte e nove i primi vicini di ogni cella). E’ sempre vero questo se aggiungiamo altre cifre? In altre parole esiste, per esempio, una sequenza consecutiva di 40 cifre decimali che non siano cifre prime?

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Visto che nelle rappresentazioni finora mostrate non emerge nessuna struttura particolare e’ lecito chiedersi se effettivamente questo sia ancora vero se si considerano tutte le cifre conosciute. In altre parole e’ possibile che pi greco sia un numero normale? In matematica “normale” significa che un numero in base 10, presenta nella sua espansione decimale tutte le cifre da 0 a 9 con frequenza media 1/10. Questo significa che la distribuzione delle cifre da 0 a 9 nell’espansione decimale di pi greco e’ completamente casuale. Ad oggi non si sa se pi greco e’ effettivamente normale, anche se le prime 30 milioni di cifre sono distribuite uniformemente. Come esempio qui di seguito viene riportata la frequenza delle cifre 0-9 per le prime cifre di pi greco. La variazione tra le cifre e’ veramente piccola e tutte tendono a 0.1. La stessa cosa e’ vera anche per l’espansione decimale del reciproco di pi greco.

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 Frequenza delle cifre da 0 a 9 per le prime 1000000000000 cifre di pi greco.

Qualche curiosità prima di lasciarci. La sequenza di sei 9 consecutivi si trova alla 762ima cifra decimale di pi greco. Questa posizione nell’espansione di pi greco viene chiamata il punto di Feinman. La sequenza della posizione nell’espansione decimale di pi greco dove compaiono le prime n stringhe di 9 (con n=1,2,3,4...) e’ data da :
5, 44, 762, 762, 762, 762, 1722776, 36356642, 564665206
Questo significa che per trovare una stringa con nove 9 dobbiamo passare in rassegna la bellezza di 564665206 cifre decimali. Niente male. La sequenza 0123456789 compare più volte tra le cifre di pi greco. In particolare in posizione 17387594880, 26852899245, 30243957439, 34549153953, 41952536161, 43289964000. Stessa cosa per la sequenza 9876543210 che compare anche essa in diverse posizioni. E pensare che pi greco altro non e’ che il semplice rapporto della circonferenza e il raggio di un cerchio. Ancora la comparsa di complessità da operazioni (regole) molto semplici. Non e’ straordinario? Per finire una simpaticissima immagine ottenuta da Mike Keith usando le prime 768 cifre di pi greco disposte all’interno di un cerchio a cui tale costante e’ intimamente legata.

 
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giovedì 9 giugno 2016

La bellezza e potenza della Teoria dei Gruppi

 

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Circa cento anni fa, i matematici si erano resi conto che molti dei problemi incontrati in fisica, chimica e matematica potevano essere descritti da una nuova struttura algebrica: il Gruppo. E la cosa affascinante  era che un singolo gruppo poteva  descrivere molti problemi anche molto diversi tra loro.

La Teoria dei Gruppi e’ molto complicata e non e’ facile trasmettere le sue nozioni di base con dei semplici esempi ma ci proveremo. Supponiamo di avere l’insieme di tutti i numeri interi (positivi, negativi e lo zero). E’ possibile addizionare due qualsiasi numeri di questo insieme ed ottenere un nuovo elemento dello stesso insieme (per es. 2+3=5, -7+5=-2..) come e’ possibile considerare oltre alla somma che comprende il numero n il suo opposto –n per ritornare al punto di partenza (2+3-3=2). Questo semplice insieme con le due operazioni citate rappresentano un Gruppo. In questo caso abbiamo considerato un insieme con un numero infinito di elementi. Ma e’ possibile avere dei Gruppi anche con un numero finito di elementi. Consideriamo, per esempio, un quadrato e chiediamoci quante rotazioni e riflessioni possiamo applicare ad esso senza alterare il suo aspetto nel piano. In questo caso si parla di simmetrie della figura piana. Per il caso specifico, le rotazioni di 90, 180 e 270 gradi intorno al punto centrale sono delle simmetrie del quadrato. Stessa cosa per le riflessioni orizzontali, verticali, quelle intorno ai due assi diagonali e quella che lascia il quadrato fisso (cioè non lo muove per niente). Ovviamente e’ abbastanza intuitivo provare che qualsiasi simmetria seguita da un altra e’ una nuova simmetria del quadrato in quanto esso appare non cambiato. Nella figura seguente viene mostrato come una riflessione intorno ad una diagonale seguita da una rotazione di 90 gradi equivale ad una riflessione orizzontale per il caso di un quadrato. Esattamente come per i numeri interi dove la combinazione di due di essi ci fa rimanere nel mondo degli interi cosi con le simmetrie una combinazione di esse rimane sempre una simmetria.

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 La riflessione di un quadrato intorno ad una diagonale seguita da una rotazione oraria

di 90 gradi equivale ad una riflessione orizzontale.

Come visto per  l’esempio dei numeri interi e’ possibile tornare indietro una volta applicata un’operazione. Per una simmetria che ha ruotato in senso orario di 360 gradi una figura e’ sempre possibile tornare indietro applicando una rotazione antioraria di 360 gradi. Stessa cosa per la riflessione. In totale ci sono 8 distinte simmetrie per un quadrato e tutte insieme formano un Gruppo. Appare chiaro che abbiamo una stessa struttura alla base di due insiemi completamente diversi tra loro. Questa e’ la potente bellezza dei Gruppi.

Prima di passare alla definizione matematica di Gruppo, dobbiamo introdurre il concetto di operazione binaria. Con essa combiniamo due oggetti per ottenerne un terzo. Sia l’addizione che la moltiplicazione sono due esempi di operazione binaria (nel caso dei numeri interi l’addizione di due qualsiasi numeri interi e’ ancora un numero intero e stessa cosa per la moltiplicazione). Anche la combinazione di due simmetrie per una particolare forma geometrica e’ una operazione binaria (per esempio una riflessione seguita da una rotazione). Siamo pronti quindi per definire un gruppo come un insieme, alle cui coppie di elementi e’ possibile applicare un’operazione binaria. In generale se l’operazione che applichiamo non ha ne’ un nome ne’ un simbolo associato, viene chiamata ‘moltiplicazione’ ed indicata col simbolo x. Gli elementi di un gruppo non devono essere necessariamente dei numeri o delle simmetrie e quindi l’operazione binaria non e’ necessariamente un’addizione o una combinazione di simmetrie. Comunque con l’operazione binaria non e’ permesso fare quello che vogliamo in quanto essa deve soddisfare 4 assiomi:

Assioma 1: Il prodotto di qualsiasi 2 elementi dell’insieme deve essere un altro elemento dell’insieme. In altre parole se a e b sono due elementi di un gruppo G allora anche a x b deve essere un elemento di G.

Assioma 2: Nell’insieme ci deve essere un elemento chiamato identità (generalmente indicato con e). Questo elemento e’ analogo al numero zero per l’addizione o il numero 1 per la moltiplicazione. In altre parole se a e’ un qualsiasi elemento di un gruppo G, allora e x a=a x e=a. Per l’esempio del quadrato fatto prima, la simmetria identità e’ semplicemente la simmetria che non fa nulla cioè quella che lascia il quadrato così come e’.

Assioma 3: L’operazione binaria deve essere associativa. Questo significa che  ((a x b) x c)=(a x (b x c)). Per esempio sia la moltiplicazione che l’addizione sono entrambe associative mentre la sottrazione non lo e’.

Assioma 4: Se a e’ un qualsiasi elemento del gruppo, allora deve esistere un unico elemento del gruppo, chiamato l’inverso di a, tale che:

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Se l’operazione binaria e’ anche commutativa, cioè axb=bxa, allora il gruppo viene chiamato commutativo o abeliano. Fin qui la teoria. Vediamo adesso come la teoria dei gruppi può aiutarci a risolvere problemi veramente complessi in modo molto semplice. Faremo uso di un gruppo particolare chiamato il gruppo-4 di Klein dal nome del matematico Felix Klein. Questo gruppo e’ uno dei più piccoli tra quelli esistenti. Come il nome suggerisce, questo gruppo contiene 4 elementi, e descrive tra le altre cose, le 4 simmetrie di un rettangolo: riflessione rispetto ad un asse orizzontale (che chiameremo o), riflessione rispetto ad un asse verticale (che chiameremo v), rotazione di 180 gradi intorno al punto centrale del rettangolo (che chiameremo r) e l’operazione nulla cioè quella che non fa assolutamente niente (che chiameremo e, cioè l’elemento identità). Nella tabella sottostante viene riportato il risultato della combinazione di due qualsiasi simmetrie.

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Osservare come nella tabella della combinazione delle simmetrie la diagonale principale e’ costituita dall’operazione di identità e come la matrice e’ simmetrica rispetto a questa diagonale. Se applichiamo per esempio  la simmetria o seguita dalla simmetria v il risultato equivale alla simmetria r  e scriveremo che o x v = r.

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L’applicazione di una riflessione ad un rettangolo rispetto ad un asse orizzontale, seguita da una riflessione rispetto ad un asse verticale, equivale ad una rotazione di 180 gradi rispetto al centro di un rettangolo.

Esistono altri gruppi di Klein costituiti da solo 4 elementi. Supponiamo di andare a dormire con addosso una T-shirt con un disegno sulla parte frontale. Durante la notte fa caldo e siamo costretti a toglierci la T-shirt. Verso il mattino, sentendo freddo rimettiamo la shirt. Come troveremo la maglietta al risveglio del mattino?  A causa dello stato di sonnolenza in cui uno si trova potrebbe aver rimesso la maglietta esattamente nel verso giusto e cioè come era prima di togliersela, oppure potrebbe averla rimessa al contrario (col disegno dietro alle spalle per intenderci), oppure col lato interno della maglietta al di fuori e il disegno davanti o con la maglietta con il di dentro verso il di fuori e il disegno sulle spalle. In totale ci sono 4 differenti azioni: possiamo usare S per indicare che la maglietta e’ stata rimessa come prima (identità), B per indicare che il disegno e’ andato sulle spalle, O per indicare che l’interno della maglietta e’ al di fuori e A per indicare la condizione O con in più il disegno sulle spalle. Come già fatto precedentemente e’ possibile combinare due di queste azioni e vedere cosa succede (operazione binaria). Combinando insieme per esempio le azioni O e A otteniamo B, cioè O x A=B e cosi via come indicato nella tabella sottostante.

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L’insieme delle quattro azioni descritte costituisce un Gruppo-4 di Klein. I gruppi con un numero di elementi molto piccolo vengono chiamati “Piccoli Gruppi”. E’ possibile costruire molti gruppi di piccole dimensioni ricorrendo per esempio alla matematica dei resti. Consideriamo, per esempio, l’insieme dei numeri (1, 3, 5, 7) e prendiamo come operazione il resto della divisione per 8 del prodotto di due qualsiasi di questi numeri. In questo caso otteniamo la seguente tabella di moltiplicazione.

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Osserviamo come il risultato della nostra operazione binaria produca sempre elementi dell’insieme iniziale, che esiste l’elemento identità come anche l’inverso. Di nuovo abbiamo un gruppo di Klein con 4 elementi e di nuovo abbiamo la stessa struttura del gruppo della T-shirt e delle simmetrie del rettangolo. Questo può essere ancora più facilmente visibile sostituendo i numeri della tabella di moltiplicazione con i simboli di simmetria della T-shirt, cioè rimpiazzando S con 1, B con 3, O con 5 e A con 7. Corrispondenza perfetta. Anche se gli esempi vengono da contesti diversi, il gruppo e la sua struttura e’ sempre lo stesso. Bello no?  Facciamo un altre esempio considerando sempre come operazione binaria quella dei resti dei prodotti. Abbiamo 4 numeri interi 1, 3, 7, e 9 e consideriamo il resto della divisione per 10 del prodotto di due qualsiasi numeri dell’insieme. Qui di seguito la tabella di moltiplicazione. Questa volta si nota subito che c’e’ qualche cosa di diverso rispetto a quelle precedenti.

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Ci accorgiamo che in questo caso non abbiamo l’elemento identità lungo la diagonale. In effetti questo e’ un gruppo ma non di Klein-4. Infatti mentre l’operazione binaria da noi definita applicata a 9x9 da’ l’identità questo non e’ vero per il 3 e il 7. Abbiamo trovato qualche cosa che e’ leggermente diverso dai gruppi precedenti. Per capire di cosa si tratta analizziamo un altro esempio più semplice. Supponiamo di avere 4 persone sedute intorno ad un tavolo quadrato  e supponiamo che può essere servito un piatto alla volta da un sistema automatico situato al centro della tavola.

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Esistono 4 possibili azioni per il sistema automatico per porre il piatto di fronte ad ognuno dei clienti in modo che essi possano servirsi da soli. Una rotazione di 90 gradi che possiamo chiamare Q1, una rotazione di 180 gradi Q2, una rotazione di 270 gradi Q3 e una rotazione di 360 gradi Q4 che equivale all’identità’. La tabella per questo gruppo e’ data da:

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Questo gruppo e’ chiamato il gruppo ciclico con 4 elementi. Se confrontiamo la tabella del gruppo ciclico con quella del gruppo degli elementi (1,3,7,9) precedente ci accorgiamo che hanno esattamente la stessa struttura suggerendo che anche esso e’ un gruppo ciclico di 4 elementi. Basta sostituire 1 a I, 3 con Q1, 7 con Q3 e 9 con Q2. Si può dimostrare ma non lo faremo, che con 4 elementi esistono solo due tipi di gruppi: quello di Klein e quello ciclico. C’e’ un solo gruppo costituito da un solo elemento contenente l’identità’. Con due elementi c’e’ bisogno di avere un elemento di identità e un elemento di inversione che già abbiamo visto come sottogruppi di due elementi dei gruppi con 4 elementi. Prendiamo per esempio le azioni S e B della T-shirt, oppure I e Q2 per il distributore di piatti. Ognuno di questi e’ un gruppo di due elementi. Con tre elementi si può dimostrare che c’e’ solo una possibile struttura. Riconsideriamo di nuovo l’esempio del ristorante e supponiamo di avere anziché 4 clienti solo 3 equamente spaziati intorno ad un tavolo rotondo (per esempio a 120, 240 e 360 gradi). Se indichiamo le tre azioni con R1, R2 e R3=I, questo costituisce un gruppo ciclico di 3 elementi indicato C3 con la cui tabella e’:

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I gruppi analizzati fino ad ora possono essere rappresentati anche tramite delle reti (networks). Ogni linea in questo caso rappresenta un azione del gruppo e i vertici il risultato della combinazione dei due elementi (vedi figura nnh)

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image_thumb15  Rappresentazione tramite rete del gruppo-4 di Klein (sopra) e del gruppo ciclico (sotto)

Prima di poter passare ad una applicazione pratica, dobbiamo introdurre un altro gruppo molto importante, quello simmetrico Sn . Si tratta del gruppo di tutte le permutazioni di un insieme finito di n numeri. Ricordiamo che la permutazione e’ un modo di ordinare in successione n oggetti distinti, come nell’anagrammare una parola. Se abbiamo n oggetti il numero possibile di permutazioni e’ dato dal fattoriale n che si indica con n! . Consideriamo per semplicità il caso n=4, cioè l’insieme (1,2,3,4). Le permutazioni possono essere rappresentate con la notazione matriciale, cioè con una tabella con un certo numeri di righe e colonne. Nella prima riga si inserisce la sequenza di numeri originali e nella seconda riga invece la permutazione di interesse. Nel nostro caso indichiamo con:

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due permutazioni. In questo caso per comporre le due permutazioni basta applicare all’insieme iniziale (1,2,3,4) prima la permutazione tau e poi la sigma.

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Ovviamente in questo esempio l’identita’ e’ data dalla permutazione nulla. L’inverso di una permutazione, invece, si ottiene scambiando le due righe della tabella e poi riordinando le colonne in modo che la prima riga abbia l’ordine naturale.

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Infatti ,  σ σ-1 = I   cioè la combinazione delle due permutazioni e’ uguale all’identità’. Consideriamo adesso la seguente permutazione:

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Essa manda 1 in 4, 3 in 1 e 4 in 3 lasciando fisso il 2. Questo fatto lo possiamo scrivere come (1,4,3). Una tale permutazione viene detta ciclo di lunghezza 3. Un ciclo di lunghezza 2 viene chiamato trasposizione o scambio. Osservare che ogni permutazione può essere decomposta in prodotti di scambi cioè:

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Si può dimostrare che:

1) Ogni permutazione può essere decomposta nel prodotto di un numero finito

   di cicli disgiunti

2) Il numero di scambi in cui si può decomporre una permutazione o e’

   sempre pari o e’ sempre dispari.

Passiamo adesso alla pratica considerando un gioco che tutti avranno visto almeno una volta nella vita: il gioco del 15.  Si tratta di un rompicapo matematico, inventato da Samuel Loyd nel 1878. Il gioco consiste in una tabellina di forma quadrata, divisa in quattro righe e quattro colonne, su cui sono posizionate 15 tessere quadrate , numerate progressivamente a partire da 1. Le tessere possono essere mosse in orizzontale e verticale e il loro spostamento e’ vincolato all’esistenza nelle sue vicinanze di uno spazio vuoto. Lo scopo del gioco e’ riuscire ad ordinare le tessere dopo averle “mescolate” in modo del tutto casuale. Questo gioco rappresenta un problema matematico che può essere risolto con la teoria dei gruppi, in particolare con il gruppo delle permutazioni S15.

Il problema, infatti, data una configurazione iniziale delle tessere, consiste nel permutare i suoi elementi per posizionarli nell’ordine naturale da 1 a 15. La domanda a cui dobbiamo rispondere e’ la seguente: e’ sempre possibile fare ciò, in altre parole e’ sempre possibile risolvere il gioco del 15 indipendentemente dalla configurazione iniziale? Per rispondere cominciamo con l’osservare che ad ogni mossa c’e’ lo scambio tra un elemento numerato e il blocchetto vuoto. Inoltre all’inizio il blocchetto vuoto si trova in basso a destra della scacchiera e li deve ritrovarsi alla fine del gioco. Se dunque durante il gioco il blocchetto vuoto viene spostato di n mosse, per riportarlo nella posizione originaria ne occorreranno altre n. Dunque le mosse necessarie per risolvere il gioco devono essere in numero pari. Ciò equivale a dire che la permutazione associata al gioco deve essere pari affinché il gioco stesso possa essere risolto. Consideriamo la seguente configurazione iniziale:

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Per tornare alla configurazione originaria la permutazione associata e’:

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che può essere decomposta nel seguente modo:

(13,1,8,2,7,4,3,12)*(14,6,9,10)*(15,11)

che a sua volta si può decomporre nel prodotto dei seguenti scambi:

(13,12)(13,3)(13,4)(13,7)(13,2)(13,8)(13,1)(14,10)(14,9)(14,6)(15,11)

Trattandosi di una permutazione dispari (abbiamo 11 scambi) il gioco non e’ risolvibile.

Vediamo, invece, cosa succede con quest’altra configurazione iniziale:

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La permutazione associata e’:

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Che può essere decomposta in:

(2,1,15,8,4)(6,3,14,7,12)(10,5,13,9,11)==(2,4)(2,8)2,15)(2,1)(6,12)(6,7)(6,14)(6,3)(10,11)(10,9)(10,13)(10,5)

Poiché si tratta di una permutazione pari, in questo caso il gioco e’ risolvibile. Esistono due diverse versioni del gioco del 15: una costituita da una tabella di plastica le cui tessere vengono mescolate manualmente e un’altra più moderna, in versione computerizzata. Nella prima versione, ogni mescolamento delle tessere corrisponde ad una permutazione che deve essere necessariamente pari, poiché per portare la casella vuota in basso a destra, qualsiasi sia la permutazione, il numero di scambi necessari e’ sempre pari. Pertanto il gioco e’ sempre risolvibile. Nella versione computerizzata, invece, poiché le configurazioni iniziali vengono scelte in modo del tutto casuale, non e’ sempre possibile risolvere il gioco.

Gli stessi concetti possono essere applicati ad un altro gioco che sicuramente tutti conoscono: Il cubo di Rubik. Questo e’ stato inventato a metà degli anni 70 dall’architetto ungherese Rubik. Si tratta di un cubo dove ciascuna faccia ha un colore diverso e questa e’ suddivisa in 9 quadratini. E’ possibile ruotare ciascuna faccia e lo scopo del gioco consiste nel ripristinare l’ordine iniziale con tutte le facce colorate allo stesso modo. Chiunque ha giocato con questo cubo sa che bastano poche mosse per trovarsi in una situazione di “panico” senza nessuna speranza di ritorno alla condizione iniziale. Per fortuna non c’e’ nessun motivo per sentirsi persi, in quanto esistono diverse tecniche per risolvere il rompicapo e in cui la teoria dei gruppi gioca un ruolo fondamentale.

 

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 Cubo di Rubik risolto (sinistra) e cubo di Rubik in una delle sue possibili configurazioni iniziali.

In figura  il cubo di destra mostra una delle possibili configurazioni iniziali. Ma quante di queste configurazioni esistono? Si può dimostrare che ce ne sono 43 252 003 274 489 856 000 (si tratta di un numero con ben 20 cifre che a leggerlo suona più o meno così: quarantatremila miliardi di miliardi). Tenendo inoltre conto che ci sono in totale 54 quadratini, si capisce che il cubo di Rubik altro non e’ che un sottogruppo di S54. Infatti le rotazioni delle facce del cubo altro non sono che particolari permutazioni del gruppo simmetrico su 54 elementi (quadratini colorati). Per iniziare a fare qualche cosa di interessante col nostro cubo magico, dobbiamo introdurre alcune notazioni. Prima di tutto dobbiamo trovare un modo per indicare le 6 facce del cubo.

· S sta ad indicare la faccia di “sinistra”

· D sta ad indicare la faccia di “destra”

· F sta ad indicare la faccia di “fronte”

· R sta ad indicare la faccia sul “retro”

· A sta ad indicare la faccia in “alto”

· B sta ad indicare la faccia in “basso”

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Ogni cubetto può essere individuato, invece, usando le lettere minuscole delle   facce  a cui esso appartiene. Cosi ad (o da) sta ad indicare il cubetto dello spigolo sul lato destro in alto (cubetto indicato in celeste) e adf il cubetto all’angolo di fronte ad esso (cubetto grigio). Indichiamo poi una rotazione di 90 gradi in senso orario di una faccia con la lettera che individua la faccia stessa. Ad esempio la rotazione di 90 gradi in senso orario della faccia destra la indicheremo semplicemente con la lettera D. Viceversa per indicare una rotazione antioraria sempre di 90 gradi aggiungeremo un apice D’.  Con questo simbolismo e’ possibile scrivere qualsiasi sequenza di mosse, indipendentemente dalla sua complessità. Un esempio banale è dato da quattro successive D ovvero DDDD. Trattandosi di quattro rotazioni di 90 gradi ognuna, questo corrisponde ad una rotazione di un angolo giro cioè di una identità (di fatto nulla è cambiato).

Torniamo al caso di una semplice rotazione e vediamo che effetto ha sui cubetti della faccia che ruota. La mossa D ha l'effetto di portare il cubetto ad sulla faccia posteriore e occupare il posto del cubetto rd. Allo stesso tempo, il cubetto rd passa sotto ad occupare la posizione bd, il cubetto bd si sposta ad occupare il posto del cubetto fd e il cubetto fd sale in alto in ad. Simbolicamente, tutto ciò si può rappresentare con il seguente 4-ciclo

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che per noi adesso dovrebbe essere familiare! Chiaramente, non è importante da quale cubetto partiamo. Ma il 4-ciclo appena visto non descrive tutta la rotazione D; infatti non abbiamo ancora descritto gli effetti di D sui cubetti degli angoli. In modo analogo possiamo rappresentare questi effetti con il seguente 4-ciclo

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Ora  possiamo dare una rappresentazione degli effetti di D su tutti i cubetti della faccia destra. Possiamo scrivere infatti

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che è un prodotto di cicli; da notare che manca il quadratino centrale, ma del resto questo rimane fermo. Da questa rappresentazione in cicli disgiunti è possibile calcolare l’ordine di questa mossa. Trattandosi di due 4-cicli disgiunti abbiamo che l’ordine è proprio 4, cioè  D4=1, e questo era proprio ciò che ci aspettavamo; operando quattro volte con D, infatti, torniamo alla configurazione iniziale. Per finire passiamo alla classificazione dei gruppi semplici, detta anche teorema enorme, che come affermato dal matematico Daniel Gorenstein e’ uno dei più importanti risultati della matematica. Per prima cosa vediamo cosa sono i gruppi semplici. Per fare ciò consideriamo un cubo e tutte le sue rotazioni. In totale ce ne sono 24. Le prime 9 sono intorno agli assi passanti per le facce opposte del cubo (ci sono 3 assi e 3 possibili rotazioni [90, 180 e 270 gradi] intorno ad ognuno).

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Poi ci sono le rotazioni intorno agli assi passanti per il centro degli spigoli opposti come mostrato sotto. In totale ci saranno 6 assi di questo tipo e quindi 6 possibili rotazioni (per ogni asse solo la rotazione di 180 gradi lascia inalterato il cubo di partenza).

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L’ultima famiglia di rotazioni e’ quella intorno agli assi passanti per i vertici opposti del cubo. Ce ne sono 4 in totale, ognuna con rotazioni di 120 e 240 gradi.

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Se consideriamo adesso, un asse passante per i punti centrali di due facce opposte del cubo, e ’ possibile ruotare il cubo intorno a questo asse di 90, 180, 270 e 360 gradi senza alterare la configurazione iniziale. Queste 4 rotazioni, ovviamente altro non sono che 4 elementi delle 24 rotazioni del cubo descritte prima. Quindi esse costituiscono un gruppo più piccolo formato da 4 elementi. Il gruppo completo di rotazioni di un cubo ha all’interno di esso dei gruppi più piccoli. Essenzialmente, un gruppo semplice, e’ uno che non può essere diviso in gruppi più piccoli così come succede per i numeri primi e gli atomi delle molecole. L’importanza dei gruppi semplici deriva dal Teorema di Jordan-Holder, dimostrato intorno al 1889. Esso stabilisce che tutti i gruppi finiti possono essere costruiti a partire dai gruppi semplici finiti.

Un gruppo semplice finito o appartiene a una di 4 famiglie particolari (Gruppo ciclico, Gruppo alterno, Gruppo lineare, Gruppo di tipo Lie) oppure a uno dei cosiddetti 26 gruppi individuali chiamati anche gruppi sporadici. Il più grande gruppo individuale e’ il cosiddetto mostro con ben 808017424794512875886459904961710757005754368000000000 elementi.

martedì 31 maggio 2016

Gli adroni come bisturi di precisione

 

E’ di solo pochi giorni fa la notizia di una bimba di 9 anni affetta da un tumore raro (cordoma) che interessa i due estremi della colonna vertebrale curata con i protoni. La terapia che è stata messa in atto si basa sull’utilizzo di fasci di protoni e ioni pesanti. Si tratta di una tecnica all’avanguardia per il trattamento dei tumori più precisa e che provoca meno danni ai pazienti. Nel mondo non sono molti i centri che utilizzano questo tipo di cura: a livello mondiale sono soltanto 48. Vediamo di capire allora come funziona questa nuova e promettente tecnica di bombardamento. Non e’ la prima volta e non sara’ nemmeno l’ultima che la ricerca fondamentale ha ricadute molto importanti nel campo della medicina. Le proprieta’ quantistiche della materia, le radiazioni, l’antimateria, gli acceleratori di particelle e i rivelatori, sono usciti dai laboratori dei fisici per entrare nel mondo degli ospedali per aiutare i medici a guardare dentro i nostri corpi e curare diverse patologie tra cui il cancro. Questo termine indica un processo patologico caratterizzato dall’abnorme accrescimento di un tessuto che determina la comparsa di una tumefazione localizzata con disturbi legati a distruzione del tessuto normale preesistente, a compressione di strutture vicine o a ostruzioni di visceri cavi con ristagno dei secreti in essi contenuti.

In tutti i tumori si riconoscono due componenti di base:

1. il parenchima costituito dalle cellule neoplastiche o trasformate, ovvero quelle cellule che hanno subito un’alterazione genica che causa la crescita anormale del tessuto.

2. lo stroma che funge da sostegno per la massa tumorale ed `e composto da tessutto connettivo e vasi sanguigni.

Sebbene siano le cellule parenchimali a costituire la parte proliferativa della neoplasia, la crescita e l’evoluzione tumorale sono strettamente connesse e influenzate dallo stroma: e’ quest’ultimo infatti che fornisce la struttura di sostegno su cui proliferano le cellule trasformate.

L’evoluzione della maggior parte dei tumori maligni puo’ essere divisa in quattro fasi:

· modificazione maligna delle cellule bersaglio, denominata trasformazione;

· crescita delle cellule trasformate;

· invasione locale

· e, infine, metastasi a distanza (cioe’ localizzazione secondarie a distanza).

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La crescita della massa tumorale e la sua velocita’ e’ determinata dalla differenza tra il numero di cellule alterate prodotte e le cellule perse (apoptosi – eliminazione di cellule alterate tramite meccanismo di morte programmata come avviene per esempio nell’embrione umano durante la differenziazione delle dita delle mani e dei piedi generando la morte delle cellule che costituiscono le membrane interdigitali di mani e piedi palmati). In genere, lo squilibrio tra cellule prodotte e cellule perse e’ piu’ alto nei tumori con una frazione di crescita alta. Alcuni linfomi, leucemie e carcinomi polmonari sono caratterizzati da frazioni di crescita elevate e si manifesta un decorso clinico estremamente rapido: il tumore si dice aggressivo. Tumori piu’ largamente diffusi, come il tumore alla mammella e al colon hanno una bassa frazione di crescita e la produzione cellulare supera la perdita di appena il 10 per cento. Il ritmo di accrescimento e’ dunque molto piu’ lento. La frazione di crescita delle cellule tumorali ha un notevole impatto sulla loro suscettibilita’ alla chemioterapia (trattamento terapeutico a base di sostanze chimiche). La maggior parte dei farmaci contro il cancro, infatti, agisce sulle cellule che si trovano nel ciclo replicativo; percio’ i tumori che hanno una frazione di crescita bassa, ad esempio solo del 5 per cento, avranno una crescita lenta, ma saranno refrattari ai trattamenti chemioterapici classici. In questi casi, si ricorre ad altre tecniche di riduzione della massa tumorale di tipo non farmacologico, ad esempio la radioterapia (di cui parleremo a breve) o l’intervento chirurgico. Lo scopo e’ ridurre il numero di cellule tumorali che si trovano nella fase G0 (cellule in una fase di quiescenza temporanea o irreversibile, o in altri termini che hanno interrotto la fase di replicazione) del ciclo cellulare, in modo che le cellule tumorali residue tendano ad entrare nel ciclo replicativo e pertanto diventino sensibili all’azione dei farmaci. Al contrario, tumori aggressivi (come certi linfomi) che contengono un gran numero di cellule nel ciclo replicativo si dissolvono con la chemioterapia e possono anche essere guariti.

Nella crescita di un tumore, inoltre, si distinguono due fasi: una prima fase di evoluzione avascolare e una seconda fase caratterizzata dalla capillarizzazione della massa tumorale. I tumori, infatti, stimolano la crescita dei vasi ematici dell’ospite, processo detto angiogenesi, che e’ essenziale per rifornire di sostanze nutritive le cellule tumorali. Fintanto che la massa tumorale e’ poco estesa (un diametro o uno spessore inferiore ai 2mm), le cellule tumorali riescono a ricevere l’apporto di nutrienti e ossigeno necessari alla loro vita per diffusione dai capillari gia’ esistenti, ma per superare tale soglia e’ necessario un processo di vascolarizzazione. Durante la crescita del tumore, alcune cellule acquisiscono un fenotipo angiogenetico, che gli permette di produrre segnali che inducono la proliferazione delle cellule endoteliali (quelle che rivestono l’interno dei vasi sanguigni e di quelli linfatici), che vanno a costituire i nuovi vasi ematici. Il cambiamento da tumore avascolare a tumore vascolare e’ detto switch angiogenetico. Contrariamente ai vasi normali, i vasi di origine tumorale possono crescere in continuazione, sotto l’azione di fattori di crescita specifici come il VEGF (la proteina piu’ importante di questa categoria e’ il VEFG-A), e costituiscono un sistema ematico irregolare e dalla forma tortuosa. Questo fa si che non tutte le cellule del tumore ricevano il nutrimento necessario, e quindi si creano delle necrosi all’interno della massa tumorale stessa. La vascolarizzazione del tumore e’ una delle condizioni che favorisce maggiormente l’invasivita’ e la metastatizzazione dei tumori maligni. Proprio perche’ l’angiogenesi e’ determinante per la crescita e la diffusione dei tumori, nelle terapie e’ rivolta una grande attenzione ai farmaci che inibiscono questo processo. Rientrano in questa categoria i nuovi farmaci biologici monoclonali come l’avastin (bevacizumab) la cui azione e’ schematizzata nelle immagini sottostanti. In parole semplici l’azione di questi farmaci e’ quella di bloccare i VEGF prodotti dalle cellule tumorali e responsabili della crescita anomala dei vasi sanguigni.

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Per quanto riguarda la velocita’ di crescita questa e’ correlata al livello di differenziazione cellulare: meno e’ alto il livello di differenziazione piu’ `e veloce la crescita. Quindi la maggior parte dei tumori maligni cresce piu’ rapidamente rispetto i tumori benigni. Inoltre, la velocita’ di crescita e’ spesso non costante nel tempo perche’ fattori come la stimolazione ormonale, l’adeguatezza dell’apporto ematico e altri fattori ad oggi ancora poco conosciuti possono condizionare la cinetica cellulare. Questo rende la crescita e dimensione di un tumore praticamente impredicibile.

La terza fase, quella dell’invasione locale, avviene in modo differente per tumori benigni e maligni. Quasi tutte le neoplasie benigne crescono formando masse compatte ed espansive che restano localizzate nella loro sede di origine e non hanno la capacita’ di infiltrare gli organi circostanti o invadere a distanza. Poiche’ la loro espansione e’ piuttosto lenta, sviluppano al loro intorno un tessuto connettivo fortemente compresso, detto capsula fibrosa, che li separa dal tessuto d’origine. La crescita dei tumori maligni, invece, e’ accompagnata da una progressiva infiltrazione, invasione e distruzione dei tessuti circostanti. Solitamente le neoplasie maligne sono poco demarcate dal tessuto normale circostante e hanno una crescita irregolare e disomogenea. I tumori maligni a lenta espansione possono sviluppare una capsula fibrosa, ma, generalmente, sviluppano anche delle filiere di cellule che infiltrano le strutture adiacenti.

Queste filiere sembrano al microscopio delle chele di granchio e per questo il tumore maligno e’ anche detto cancro. Nella loro espansione i tumori maligni non rispettano, in genere, i normali confini anatomici e questo rende difficile l’intervento chirurgico di asportazione e, anche qualora il tumore apparisse compatto e ben circoscritto, e’ sempre necessario asportare anche una parte di tessuto sano limitrofo. L’invasivita’ dei tessuti circostanti e’ una delle principali caratteristiche del decorso clinico che permette di distinguere un tumore maligno da uno benigno.

La quarta fase, quella delle metastasi, e’ caratteristica solo delle neoplasie maligne. Le metastasi sono impianti di tumore lontani dal tumore primitivo. L’invasivita’ che caratterizza i tumori maligni permette loro di penetrare nei vasi ematici e linfatici nonche’ nelle cavita’ del corpo. Quelle appena indicate sono le tre principali vie di diffusione per i tumori maligni, che danno l’opportunita’ al cancro di diffondere in altre sedi. Solitamente, tanto piu’ il tumore primitivo e’ aggressivo e di rapido accrescimento, maggiore e’ la possibilita’ che metastatizzi o abbia gia’ metastatizzato.

Piu’ si studiano i tumori e piu’ si capisce quanto essi siano purtroppo intelligenti. Non c’e’ dubbio che come tutte le cellule anche quelle tumorali soddisfano il principio di evoluzione di Darwin e quindi escogitano nuove strategie pur di sopravvivere. Tra queste ricordiamo quelle messe a punto dal tumore del pancreas per ingannare il sistema immunitario o quelle del glioblastoma (tumore del cervello) che e’ in grado di trasformare alcune delle proprie cellule in vasi sanguigni per potersi cosi autoalimentare. Per questo motivo laddove la chirurgia e la chemioterapia non sono d’aiuto e’ possible utilizzare tecniche alternative date in prestito alla medicina dalla fisica nucleare e particellare. L’idea di base e’ di utilizzare le radiazioni per danneggiare il DNA delle cellule tumorali e determinarne cosi la morte.

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Tra queste tecniche ricordiamo la radioterapia (generalmente raggi X), i fotoni di alta energia (raggi gamma), generati da sorgenti radioattive, quali il cobalto-60, oppure i fasci di elettroni. Questa radiazione viene indirizzata sull’organismo in corrispondenza del tessuto tumorale e, una volta dentro il corpo, viene assorbita durante il suo percorso da tutti i tessuti e gli organi, non soltanto laddove c’è un tumore, generando i ben noti effetti secondari. Questo, tra l’altro, limita la quantità di radiazione che si può utilizzare, in quanto un utilizzo massiccio mette a rischio la vita stessa del paziente. Una nuova tecnica a disposizione degli oncologi per combattere il cancro e’ quella dell’adroterapia in cui le cellule malate vengono sparate con un acceleratore di particelle.

Fasci di protoni oppure di ioni di carbonio, provenienti da acceleratori dedicati, sono utilizzati con grande successo per il trattamento dei tumori localizzati. L’idea di utilizzare i protoni per il trattamento dei tumori fu proposta nel 1946 da R.R. Wilson ed è stata applicata per la prima volta nel 1954 nel laboratorio di ricerca di fisica nucleare del Lawrence Berkeley National Laboratory, in California, Stati Uniti. In Europa il metodo è stato utilizzato in Svezia, a Uppsala, per la prima volta nel 1957, utilizzando un acceleratore che era stato costruito per ricerche di fisica fondamentale. Da allora, la tecnica si è molto perfezionata ed estesa in tanti paesi del mondo, inclusa l’Italia. Il nome della terapia deriva dal fatto che le particelle che vengono utilizzate, protoni oppure ioni di carbonio, sono adroni – particelle cioe’ composte da quark e che subiscono interazioni forti.

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I protoni e gli ioni di carbonio utilizzati nell’adroterapia grazie a delle macchine chiamate acceleratori vengono portati ad una certa energia, che dipende dalla tipologia e localizzazione del tumore, e indirizzati con precisione elevatissima sul paziente.

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Entrati nell’organismo, a differenza dei fasci di fotoni o di elettroni, viaggiano sino ai tessuti tumorali danneggiando pochissimo gli altri tessuti, rilasciando invece un’enorme quantità di energia, nel tessuto tumorale. I tessuti sani subiscono pochi danni, mentre quelli malati sono distrutti. Come si puo’ notare dal grafico sottostante la dose massima di energia rilasciata dai protoni e’ piu’ in profondita’ rispetto a quella dei raggi X. Il picco di rilascio dell’energia da parte dei protoni e’ chiamato picco di Bragg.

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Controllando l’energia dei fasci si può controllare il posto dove questi rilasciano la loro carica distruttiva nell’organismo. Per tumori superficiali l’energia è più piccola che per un tumore profondo. La terapia con ioni di carbonio ha il vantaggio di avere una maggiore densità di ionizzazione rispetto a quella dei protoni. In questo modo i danni della struttura del DNA all’interno della cellula tumorale si verificano più frequentemente e così diventa più difficile per la cellula cancerosa riparare il danno. L’efficienza biologica della dose è più grande rispetto a quella dei protoni di un fattore tra 1,5 e 3. L’utilizzo degli ioni di carbonio ha però uno svantaggio: la dose, superato il posto dove è localizzato il tumore, non diminuisce a zero, come nel caso dei protoni, in quanto le reazioni nucleari stesse tra gli ioni di carbonio e gli atomi del tessuto portano alla produzione di ioni più leggeri, che possono creare piccoli danni nelle vicinanze del tessuto tumorale (alcuni progetti di ricerca stanno studiando proprio questo aspetto).

Per eseguire l’adroterapia sono necessari:

• un acceleratore di protoni e/o di ioni, che produce più fasci di particelle in modo tale da avere più sale di trattamento;

• un sistema di trasporto dei fasci nelle sale di trattamento;

• un sistema molto preciso di posizionamento del paziente;

• un sistema accuratissimo di controllo dell’energia dei fasci e della dose assorbita dal paziente;

• un sistema tridimensionale di trattamento personalizzato sul paziente ottenuto integrando le immagini diagnostiche ottenute applicando tecniche quali la tomografia a emissione di positroni o la tomografia computerizzata.

Il protocollo di trattamento dipende ovviamente dalla tipologia del tumore. Vengono trattati i tumori localizzati, per esempio i melanomi dell’uvea, occhio, i tumori della base del cranio e della colonna vertebrale e anche alcuni tumori solidi pediatrici. Dopo l’iniziale calibrazione dell’energia, vengono effettuate un numero variabile, 12-16 d’abitudine, di sedute di trattamento.

Alla fine del 2012 esistevano nel mondo circa 40 centri di adroterapia e quasi 100.000 pazienti trattati con fasci adronici. Recentemente è entrato in funzione anche il centro italiano CNAO, vicino a Pavia, per l’adroterapia. L’adroterapia è un metodo molto costoso: l’investimento iniziale è intorno ai 100 milioni di Euro, e i costi per singolo paziente sono a loro volta molto alti – arrivando a decine di migliaia di Euro, un fattore almeno due volte più grande del costo della radioterapia. Oggi i ricercatori di tutto il mondo stanno provando nuovi metodi per costruire acceleratori meno costosi e riuscire a trattare più pazienti con questo metodo molto efficace per i tumori localizzati.

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