venerdì 16 dicembre 2011

DOV’E’ LA MATEMATICA?

In prossimita' delle feste Natalizie ho pensato di farmi un piccolo regalo pubblicando sul mio blog la recensione fatta dallo statistico Walter Caputo sul blog Gravita' Zero del mio libro "L'universo dei numeri i numeri dell'Universo. Un grazie al professore Caputo per le belle parole spese per il mio libro senza che io lo conoscessi in alcun modo. Grazie.

Esistono libri di matematica veramente accessibili a tutti? Sì, sono quelli generalmente denominati “divulgativi”. Ma la gente li conosce? Oppure siamo ancora fermi al famoso e ingiustificato odio innato per la matematica? Diciamo subito che la matematica non ha mai fatto male a nessuno; al contrario alcuni insegnanti di matematica di male ne hanno fatto, ed anche parecchio. Se siete quindi fra coloro che stanno per riconciliarsi con la matematica, “L’universo dei numeri, i numeri dell’universo” è il libro che fa per voi. D’altronde se avete messo una pietra (nel senso di una lapide) sopra il vostro ex insegnante di matematica, è ora di ripartire da tutto ciò che non vi hanno mai detto sulla matematica, in pratica tutto ad eccezione delle formule che vi sono state impartite come un dogma. Ed infatti nel libro scritto dal fisico Felice Russo non troverete formule, perché la matematica è anche e soprattutto altro. 
Ma, prima di partire, vi potreste chiedere se la matematica venga inventata oppure scoperta. Ciò implica domandarsi se la matematica sia necessariamente collegata alla realtà ed inserita in essa oppure se possiamo affermare che la matematica prescinde dalla realtà, perché non ne ha bisogno e perché esiste anche senza che la realtà stessa esista.
Nell’introduzione al testo, Felice Russo propende per un’idea di matematica che si debba affacciare nel mondo, nel senso che essa fornisce strumenti utilissimi in qualunque settore. Di conseguenza, scopo del testo è proprio mostrare come la matematica sia praticamente dappertutto, ed interessare, divertire ed incuriosire il lettore proprio a partire da fatti o eventi che sembra non abbiano nulla a che fare con quella che molti definiscono “la regina delle scienze”.
Altri autori, come il fisico Roger Penrose, propendono per un’idea di matematica comunque esistente, a prescindere dalla realtà, in un “mondo matematico platonico” dove le forme matematiche “non hanno una posizione spaziale e non esistono nel tempo”. Le nozioni matematiche sono dunque entità atemporali, “che non devono essere considerate come esistenti soltanto nel momento in cui sono percepite dagli esseri umani per la prima volta”.
Così, a proposito dell’ insieme di Mandelbrot, Penrose scrive: “quei disegni ‘esistevano’ già dall’inizio dei tempi in senso potenziale e atemporale, e si sarebbero poi rivelati esattamente nella forma in cui li percepiamo oggigiorno, non importa in quale istante e in quale luogo un essere senziente avrebbe scelto di esaminarli” (1)
Su Le Scienze di ottobre 2011, Mario Livio fornisce una risposta originale: secondo lui la matematica si inventa e si scopre. Scrive infatti: “La matematica è un complesso amalgama di invenzioni e scoperte. In genere i concetti sono inventati, e sebbene le relazioni corrette tra di essi esistano da prima che le si scopra, noi scegliamo quali studiare”. (2)
Abbiamo detto che il fine ultimo di Felice Russo, in questo testo, è divulgare la matematica, cioè comunque diffonderne la conoscenza presso i non addetti ai lavori. D’altronde anche il fine di Gravità Zero è divulgare la scienza, e questo è anche un mio personale proposito.
Ci si potrebbe però chiedere perché farlo. Naturalmente possono esserci numerosissimi buoni motivi a favore di tale attività. Felice Russo, a tal proposito, scrive: “Contrariamente a quanto pensa la gente comune, non si può fare a meno della matematica se si vuole capire il mondo che ci circonda”. Questa è un’ottima e condivisibile affermazione, tuttavia – spesso - la gente non vuole capire il mondo che ci circonda: vive bene anche ignorando quasi completamente la matematica. In particolare gli studenti, con cui ho quotidianamente a che fare, ritengono che non si possa fare a meno dell’ultimo modello di smartphone, e che sia importante imparare ad usarlo, ma non sono interessati a capire il mondo. Certo, non tutti sono così apatici e per niente curiosi. Ad esempio mio figlio mi chiede spesso cos’è o perché o ma come?. Ma lui non ha ancora tre anni.
Se siete adulti, e ciononostante avete conservato almeno un pizzico di quella straordinaria curiosità per il mondo, che hanno i bimbi, allora sappiate che la matematica è davvero affascinante, anzi è forse una delle cose più affascinanti che possano capitare nella vita. Nel 2005, presso la Stanford University, Steve Jobs, recentemente scomparso, concluse il suo memorabile discorso invitando tutti gli studenti ad essere affamati e folli. La “fame” vi porterà – una volta entrati dentro la matematica – a non poterne più fare a meno e a desiderarne sempre di più. La “follia” vi consentirà di seguire una strada matematica fino alle sue estreme conseguenze, trovando così nuovi strumenti, che tutti potranno usare per il loro lavoro o per la loro vita.
Sappiate però che “L’universo dei numeri”, di cui stiamo parlando, è lungo circa 500 pagine, cioè molto di più di quanto sia lungo in media un testo divulgativo di matematica. D’altronde la matematica che si è accumulata fino ad oggi è davvero tantissima, tanto è vero che chi si occupa professionalmente di matematica ne conosce molto bene solo una piccola parte, che è poi l’oggetto delle sue ricerche. Per chi fa altro nella vita, l’incontro con la matematica di questo testo è un piatto molto ricco. Potrete però scegliere all’interno i percorsi che più gradite, costruendo in questo modo un menu personalizzato.
Se ad esempio siete interessati ai numeri primi, ovvero a quei numeri divisibili solo per 1 e per se stessi, allora cominciate dal capitolo II. Quanti sono i numeri primi? Come sono distribuiti? A cosa servono? Euclide, già nel 300 a.C. circa, ha dimostrato che i numeri primi sono infiniti.
Ma il fatto che siano infiniti implica che non si possano contare? In realtà se vogliamo contare degli oggetti dobbiamo solo aver un buon sistema per farlo, non ha importanza che il numero degli oggetti sia finito o infinito, poiché il numero degli oggetti è una cosa diversa dal sistema di misura. Ci occorre quindi un buon sistema di misura. Per Roberto Zanasi contare significa “numerare progressivamente persone, animali o cose per determinarne la quantità. Numerare. Cioè segnare con numeri progressivi.”. In termini matematici “contare significa proprio mettere in corrispondenza biunivoca un insieme numerico con l’insieme di cui vogliamo contare gli elementi”.
Ad esempio, spiega Zanasi, l’insieme (a,b,c,d,) ha 4 elementi, poiché alle 4 lettere contenute all’interno possiamo associare i seguenti numeri naturali: 0,1,2,3. In questo modo stiamo descrivendo la grandezza dell’insieme, che prende il nome di cardinalità. (3). Ma esistono anche nuovi sistemi numerali, che consentono di analizzare sotto un’altra luce i risultati matematici di Georg Cantor (illustrati nel libro di Zanasi). Yaroslav Sergeyev ha elaborato un nuovo sistema numerale, tramite il quale è possibile affrontare con armi migliori la sfida per risolvere niente poco di meno che il Primo Problema di Hilbert (4).
Ho introdotto i numeri primi, giusto per fare un piccolo esempio di una lunga carrellata sui vari tipi di numeri, che troverete nel testo. Ed ogni volta che l’autore prende in esame un certo tipo di numero, ne esamina molti aspetti ed espone le connessioni di quel numero con il mondo che ci circonda.
Per restare sempre sui numeri primi, scopriamo – anche tramite esempi applicativi – che sono utilissimi in crittografia, e che oggi – con tutte le transazioni che avvengono tramite internet – tale scienza è diventata di vitale importanza. Inoltre, pare che due specie di cicale abbiano un ciclo di lunghezza pari ad un numero primo (una specie 13 anni e l’altra 17 anni) per evitare di incontrarsi troppo nel momento in cui fuoriescono dalla terra……
Dov'e' la matematica?A questo punto dovreste conoscere la risposta: la matematica è dappertutto. Buona lettura !

NOTE
(1) Roger Penrose – La strada che porta alla realtà – Le leggi fondamentali dell’Universo – BUR Scienza, 3° edizione febbraio 2007
(2) Mario Livio – Perché la matematica funziona – Le Scienze, ottobre 2011
(3) Roberto Zanasi – Verso l’infinito ma con calma – Un dialogo su matematica, insiemi e numeri – Scienza Express, 2011
(4) Yaroslav Sergeyev – Counting systems and the First Hilbert problem

mercoledì 14 dicembre 2011

Il pianeta gemello della Terra?

La missione Keplero, diretta dalla NASA, ha come obiettivo la ricerca di pianeti simili alla nostra Terra all’interno o vicino alla cosiddetta zona abitabile ed orbitanti intorno a stelle della  nostra Galassia (Via Lattea). Dall’inizio della missione, sono ormai migliaia i pianeti scoperti. Al momento c’e’ una chiara evidenza di tre possibili tipi di esopianeti: giganti gassosi, super-terre calde con periodi di rivoluzione molto corti e giganti ghiacciati. La sfida adesso e’ quella di trovare pianeti come la nostra Terra (cioe’ pianeti con dimensioni che vanno dalla meta’ di quella della Terra al suo doppio) specialmente nella zona abitabile delle stelle. In astronomia e astrobiologia, la zona abitabile e’ la regione intorno alla stella dove un pianeta con dimensione, composizione e pressione atmosferica simile a quella della Terra, riesce a  mantenere l’acqua allo stato liquido sulla sua superficie. Poiche’ l’acqua liquida e’ essenziale per tutte le forme di vita, i pianeti in questa zona sono considerati quelli piu’ promettenti per ospitare la vita extraterrestre (sebbene delle forme esotiche di vita che non richiedono l’acqua possono esistere in ambienti diversi).
Il metodo utilizzato dalla missione Keplero per “scovare” i pianeti che orbitano intorno a delle stelle e’ quello chiamato deitransiti”.  Esso e’ basato sull’osservazione della diminuzione della brillantezza (potenza emessa dalla stella per unita’ di superficie) quando uno dei pianeti della stella passa (transita) davanti ad essa. La quantita’ di luce persa, tipicamente tra lo 0.01% e l’1%, dipende dalla dimensione della stella e del pianeta; la durata del transito dipende invece dalla distanza del pianeta dalla stella e dalla massa della stella. Poiche’ la massa e la dimensione della stella possono essere determinati da osservazioni spettroscopiche il metodo dei transiti permette di determinare  la dimensione del pianeta e la sua distanza dalla stella.    




Il telescopio Kepler che si trova al di fuori dell’atmosfera terrestre punta verso una piccola zona del cielo dove sta scrutando circa 150.000 stelle della nostra galassia. 


Ormai sono anni che Keplero osserva queste stelle e i pianeti trovati si aggirano intorno ai 2000, con stelle aventi dei veri e propri sistemi con pianeti multipli che gli ruotano intorno. Ma a noi non interessa tanto trovare nuovi pianeti o nuovi sistemi solari quanto piuttosto  trovare dei pianeti simili al nostro e quindi capaci di ospitare la vita cosi come la conosciamo noi. Nell’immagine sottostante sono riportati tutti i pianeti scoperti fino ad oggi dalla missione con l’asse delle y che rappresenta la dimensione dei pianeti rispetto a quella della terra e sull’asse x il periodo di rivoluzione in giorni. Si puo’ notare che ci sono molti pianeti in dimensione simili alla Terra ma con periodi di rivoluzione al di sotto dei 100 giorni.      

Di tutti questi pianeti quelli candidati che si trovano nella cosiddetta zona abitabile sono solo una piccola parte indicata nell’immagine sottostante con una fascia di color verde.

Qui sotto un ingrandimento della zona verde (zona abitabile).

Sono stati trovati una cinquantina di pianeti nella zona abitabile, ma nessuno di questi puo’ essere considerato un gemello o almeno un cugino della nostra Terra, nel senso che orbita intorno ad una stella simile al nostro Sole ad approssimativamente alla stessa distanza della Terra.
Questo fino a qualche giorno fa. 
Secondo quanto riportato dalla Nasa, la missione Kepler ha trovato un pianeta roccioso che orbita intorno ad una stella molto simile al nostro Sole, praticamente alla stessa distanza che intercorre tra la nostra Terra e il Sole.  
Questo pianeta e’ stato battezzato come Kepler22b, dove Kepler 22 indica la nana gialla del sistema ad una distanza di circa 600 anni luce da noi (vedi immagine della Nasa sottostante).

 

Grazie ai risultati della missione Kepler, il progetto SETI che ricerca la possibile presenza di intelligenza al di fuori del nostro sistema solare, e’ ripartito di nuovo dopo un periodo di fermo, e sta analizzando i segnali radio provenienti dai pianeti scoperti da Kepler.  Dimentichiamoci adesso per un attimo della vita intelligente e chiediamoci invece quanto veramente questo pianeta e’ simile alla nostra Terra.



L’immagine del pianeta riportata qui sopra e’ semplicemente un’interpretazione artistica. Infatti Kepler non e’ capace di “vedere” oceani, nuvole, atmosfera. L’unica cosa che conosciamo e’ il raggio e la sua distanza dalla stella.  Quindi come faremo adesso ad avere informazioni sui dettagli di questo pianeta?
Dopo tutto gli stessi pianeti rocciosi presenti nel nostro sistema solare mostrano una grande varieta’. Kepler22b ruota rapidamente su stesso in un giorno come la Terra o in 59 giorni come Mercurio? O addirittura in 243 giorni come Venere?   
L’atmosfera e’ rarefatta come quella di Marte, e’ molto calda come quella di Venere o e’ del tutto assente come per Mercurio? E se ha un’atmosfera quali sono i gas che la compongono?
Per trovare una risposta a queste domande quello di cui abbiamo bisogno e’ di un potente telescopio su cui e’ montato un coronografo. Questo strumento e’ in grado di eliminare la luce diffusa e diffratta della stella e quindi favorire la visibilita’ del pianeta (vedi sotto, si tratta del disco a centro dell’apertura del telescopio).   



 Da queste immagini si potrebbe determinare per esempio:
  • Il periodo di rotazione del pianeta se esso non rivolge sempre la stessa faccia alla Terra come avviene per la Luna.
  • Eventuali cambiamenti atmosferici e/o eventuali attivita’ vulcaniche dalla misura della fase del pianeta (quanta parte della sua superficie e’ illuminata) insieme alla sua rotazione.
  • Se il pianeta ha delle terre emerse e degli oceani. In questo caso infatti  durante la sua rotazione sarebbe possibile notare delle fluttuazioni periodiche nella quantita’ di luce proveniente da esso, in quanto gli oceani e i continenti riflettono la luce in modo diverso.
  • Se il pianeta possiede delle nuvole, come la Terra, dall’analisi delle fluttuazioni extra della sua brillantezza
  • Se il pianeta possiede delle lune attraverso l’analisi delle fluttuazioni periodiche della sua brillantezza corrispondenti ai transiti di queste lune davanti al pianeta.  
Usando oltre al coronografo anche uno spettrografo e’ possibile allargare le nostre conoscenza sul pianeta, determinando quanta frazione di luce arriva sulla Terra alle varie lunghezze d’onda. E con questi data sarebbe possibile determinare se il pianeta ha o no un’atmosfera e se si,  di cosa e’ fatta.

 

Sfortunatamente Kepler22b non e’ vicino alla Terra ma a ben 600 anni luce, e quindi troppo lontano per poter effettuare queste misure con gli strumenti attuali.
Ma secondo fonti NASA e’ possibile che nel prossimo decennio possa essere costruito un telescopio di prossima generazione che potrebbe permettere di ottenere i dati che ci interessano. Nel frattempo vediamo cosa ci dira’ il progetto SETI che sta “ascoltando” i segnali che ci arrivano da questi lontani pianeti alla ricerca di possibili pattern non dovuti al caso ma ad una intelligenza come la nostra. Non ci resta che aspettare.   


mercoledì 7 dicembre 2011

Universi annidati in buchi neri


Ritorniamo a parlare di buchi neri e di whormhole, e questa volta lo facciamo riportando lo studio di un fisico russo i cui studi, arrivano a suggerire l’esistenza del nostro universo all’interno di un grande buco nero.
Questa idea basata su una modifica delle equazioni della Relativita’ Generale di Einstein, cambia radicalmente la nostra visione di cosa accade in un buco nero.
Nikodem Poplawski dell’Universita’ dell’Indiana ha mostrato con i suoi studi che all’interno di ogni buco nero potrebbe esistere un universo (Physics Letters B, DOI: 10.1016/j.physletb.2010.03.029). E’ probabile che i massicci buchi neri presenti al centro di molte galassie (come anche la nostra Via Lattea) non siano altro che dei ponti, dei cunicoli che portano a universi diversi dal nostro. Se questo fosse corretto, nulla vieterebbe che il nostro Universo si trovi esso stesso all’interno di un gigantesco buco nero. Secondo la Relatività Generale di Einstein, all’interno dei buchi neri ci sono delle singolarita’, regioni di dimensioni infinitesime, dove la densita’ della materia raggiunge valori infiniti. I fisici non hanno mai amato troppo le singolarita’ e hanno fatto sempre di tutto per rimuoverle. Se una singolarita’ all’interno di un buco nero e’ un punto reale di densita’ infinita o solo un’inadeguatezza matematica della Relativita’ Generale al momento nessuno lo sa. Ad ogni modo le equazioni usate da Poplawski, rimuovono la singolarita’. Vediamo come.
Poplawski, per la sua analisi e’ ricorso ad una variante delle equazioni della Relativita’ Generale chiamate equazioni di Einstein-Cartan-Kibble-Sciama (ECKS). Diversamente dalle equazioni di Einstein, quelle ECKS considerano lo spin o momento angolare delle particelle elementari. Per capire cosa sia lo spin di una particella, prendiamo come esempio una trottola. Se la facciamo ruotare intorno al suo asse, questa acquista un momento angolare che la fa stare in equilibrio. E’ questa rotazione che i fisici chiamano spin. Le particelle possono essere considerate come tante minuscole trottole che ruotano intorno ad un asse. I bosoni (come fotoni e gluoni)  hanno spin intero, cioe’ un multiplo intero della costante di Plank mentre i fermioni l’hanno semi-intero. L’utilizzo dello spin della materia nelle equazioni di Einstein rende possibile il calcolo di una proprieta’ della geometria dello spazio-tempo chiamata torsione.
Quando la densita’ della materia raggiunge proporzioni gigantesche (piu’ di 1050 Kg per centimetro cubo) all’interno di un buco nero, la torsione si manifesta come una forza che si oppone alla gravita’. Questo previene che la materia sia compressa indefinitamente e raggiunga un valore infinito. In questo modo non c’e’ alcuna singolarita’. Come dice, Poplawski, la materia rimbalza e comincia ad espandersi di nuovo (http://arxiv.org/abs/1007.0587).  Lo scenario che si presenta e’ simile a quello di quando comprimiamo una molla: Poplawski ha calcolato che inizialmente la gravita’ supera la forza repulsiva della torsione e mantiene la materia compressa, ma appena la forza repulsiva diventa  piu’ forte, la materia smette di collassare e comincia a rimbalzare. Poplawski nel suo articolo ha calcolato che lo spazio-tempo all’interno di un buco nero si espande di circa 1.4 volte rispetto alla sua piu’ piccola parte in un tempo cosi breve quanto 10^(-46) secondi.    
Questo incredibile rimbalzo super veloce (quello che si chiama un buco bianco), potrebbe essere quello che ha portato all’espansione del nostro Universo come noi lo vediamo oggi. La ricerca di Poplawski suggerisce che tutti i buchi neri possono avere dei ponti di Einstein-Rosen (whormhole) ognuno collegato ad un universo che si e’ formato simultaneamente al buco nero. Da questo si puo’ ipotizzare che il nostro universo si sia formato da un buco nero esistente in un altro universo.
E’ possibile determinare se effettivamente il nostro universo e’ contenuto in un buco nero?  Un buco nero “spiraleggiante” dovrebbe imporre un qualche spin allo spazio-tempo al suo interno, e questo dovrebbe apparire come una direzione preferenziale nel nostro universo come riporta Poplawski nel suo studio. Una tale direzione preferenziale dovrebbe risultare in una violazione di una proprieta’ dello spazio-tempo chiamata “simmetria di Lorentz”, (le leggi della fisica devono essere le stesse per un sistema di riferimento inerziale e per tutti i riferimenti che si muovono di moto rettilineo uniforme rispetto a esso) che collega lo spazio e il tempo. Diversi fisici hanno suggerito che una tale violazione dovrebbe essere responsabile dell’osservata oscillazione dei neutrini (Physical Review D, DOI: 10.1103/PhysRevD.74.105009).


Purtroppo, nessuno di noi potra’ mai provare che il nostro universo sia all’interno di un buco nero. A causa dell’aumento del campo gravitazionale, infatti, il tempo scorre sempre piu’ lentamente. In questo modo, per un osservatore esterno qualsiasi universo all’interno del buco dovrebbe formarsi solo dopo una quantita’ di tempo infinito. Quindi la parte interna di un buco nero rimarra’ sempre nascosta ad un osservatore del nostro universo e quindi non potremo mai fare un’osservazione diretta dell’eventuale universo annidato in un buco nero. E’ possibile che al di la’ di ogni buco nero del nostro universo, da quelli minuscoli a quelli enormi ci sia un universo nato dalla sua parte bianca (buco bianco) e che all’interno dei buchi neri di questi altri universi ci siano altri universi ancora e cosi via all’infinito.
Bellissima teoria ma impossibile da provare direttamente.      

      

lunedì 14 novembre 2011

I buchi bianchi. Oggetti celesti esotici piu’ strani dei buchi neri.

Per soddisfare le richieste di mia figlia Gilda su cosa fossero i buchi bianchi (sta studiando  Geografia Astronomica), ho pensato di pubblicare questo post in modo da condividere con tutti voi alcuni concetti di questi oggetti molto bizzarri.





Alla fine di Maggio di quest’anno due scienziati, Alon Retter e Shlomo Heller, hanno proposto che un oggetto celeste che emette raggi gamma, conosciuto come GRB060614, potrebbe essere in  realta’ un buco bianco.   Un buco nero per definizione e’ una singolarita’ con una massa infinita in uno spazio infinitesimo. La sua gravita’ e’ cosi potente che nemmeno la luce (cioe’ i fotoni) riesce ad emergere da esso, e da qui il nome di buco nero.
Nelle stelle, c’e’ un equilibrio continuo tra la forza gravitazionale (quella che ci tira verso il centro della Terra) e la pressione della radiazione (PV=kNT) della stella che contrariamente alla forza gravitazionale tende a spingere verso l’esterno. Nelle stelle vecchie quando il combustibile nucleare comincia a scarseggiare si ha un collasso gravitazionale verso il centro della stella. Nelle stelle di neutroni  per esempio gli elettroni sono cosi compressi nel nucleo che si combinano con i protoni per formare neutroni. Il collasso e’ quandi frenato dalla pressione generata dai neutroni degeneri. Per stelle molto massiccie la forza gravitazionale e’ ancora piu’ forte e la contrazione continua senza alcuna opposizione portando ad una singolarita’ che forma il buco nero. In assenza di altre forze che possano frenare il collasso, si crede che in un buco nero tutta la materia e’ concentrata in un singolo punto con una densita’ infinita. A causa della forza gravitazionale praticamente infinita, la luce e’ intrappolata all’interno dell’orizzonte degli eventi del buco nero. Il singolo punto centrale di un buco nero chiamato singolarita’ e’ la stessa da cui si sarebbe formato il nostro Universo circa 13.7 miliardi di anni fa.    
I buchi bianchi, al contrario, sono l’opposto teorico di quelli neri. Quindi come i buchi neri catturano tutta la materia che orbita nelle loro vicinanze cosi i buchi bianchi irradiano continuamente luce dalla singolarita’ centrale apparendo quindi come oggetti brillantissimi (e’ come vedere un film di un buco nero al contrario, che corrisponde all’inversione del tempo nelle equazioni fisiche). La materia in un buco bianco scappa via da esso verso l’Universo. Entrambi i buchi neri e bianchi sono stati previsti da un punto di vista teorico alcune decadi  fa, e oggi diversi oggetti nell’Universo vengono riconosciuti come buchi neri. Anche al centro della nostra Galassia ci dovrebbe essere un buco nero cosi come in tante altre.

Spazio-tempo deformato da un buco nero di massa crescente. All'inizio esso è piatto, nel seguito si forma un buco-nero. Il raggio del cerchio inferiore vale 2M e rappresenta l'orizzonte degli eventi


Ovviamente un'osservazione diretta di un buco nero è impossibile, e le sole possibilità che abbiamo di rilevarlo, sono legate agli effetti che il suo intenso campo gravitazionale sugli eventuali corpi celesti vicini. Si veda ad esempio l'immagine qui sotto che rappresenta il sistema stellare binario GRO J1655-40. Si pensa che una delle componenti sia un buco nero: il suo campo gravitazionale è così intenso da sottrarre alla partner (in primo piano) la materia degli strati esterni, formando un caratteristico disco di accrescimento (disco blu in secondo piano).


L’idea dei buchi bianchi e’ affascinante in quanto accoppiati ai buchi neri potrebbero permettere quello che in gergo si chiama un whormhole (o ponte di Einstein-Rosen), un tunnel spazio-temporale che dovrebbe congiungere due diverse zone dello spazio tempo. Possiamo avere due tipi diversi di cunicoli spazio temporali. Un cunicolo che unisce il nostro universo con un altro universo, ed un cunicolo che unisce due regioni distanti di uno stesso universo. 



L'analogia piu’ usata per spiegare il concetto di wormhole è quella del verme nella mela. Immaginiamo l'universo come una mela, e supponiamo che un verme viaggia sulla sua superficie. La distanza tra due punti opposti della mela è pari a metà della sua circonferenza se il verme resta sulla superficie della mela; ma se invece scava un foro direttamente attraverso la mela la distanza che deve percorrere per raggiungere quel determinato punto diventa minore. Il foro attraverso la mela rappresenta il cunicolo spazio-temporale. Semplice no?
Ad ogni modo i fisici sono abbastanza scettici riguardo l’esistenza dei buchi bianchi e quindi dei wormhole a causa della loro forte instabilita’, ed ecco perche’ per lunghi decenni nessuno ne ha piu’ parlato.
Una persistente emissione di materia, infatti dovrebbe portare ad una pressione gravitazionale tale da formare un buco nero e quindi alla morte del buco bianco. L’unico posto dove i buchi bianchi hanno trovato posto fino ad oggi e’ quello della fantascienza.  
Retter e Heller, comunque hanno associato l’idea di un buco bianco al Big Bang, l’esplosione iniziale che diede origine al nostro Universo, e secondo loro il Big Bang e’ stato un evento istantaneo piuttosto che continuo e di lunga durata, aggirando cosi il problema della instabilita’ di un buco bianco. Considerare il Big Bang come un buco bianco e’ abbastanza ovvio, in quanto esso dovrebbe essere stato l’unico evento che ha liberato una quantita’ di materia/energia enorme nel dare origine al nostro Universo. Essi scrivono:
Noi suggeriamo che l’emergenza di un buco bianco, che chiamiamo un piccolo Bang, e’ spontanea; tutta la materia e’ eiettata in un singolo impulso. Diversamente dai buchi neri, quelli bianchi non possono essere osservati con continuita’ proprio perche’ il loro effetto puo’ essere visibile solo per tempi brevissimi durante l’evento. E questo ci porta agli oggetti celesti che emettono fiotti di raggi gamma (GRB): le esplosioni piu’ energetiche presenti nell’Universo.


Retter e Heller propongono di identificare alcuni di questi oggetti con dei buchi bianchi. In particolare, essi suggeriscono che l’oggetto chiamato GRB060614, individuato dal satellite della NASA Swift il 14 Giugno del 2006, non corrisponde alla categoria degli oggetti che emettono fiotti di raggi gamma. Questo perche’ solitamente quest’ultimi sono presenti in regioni con bassa formazione stellare oppure associati con supernovae. GRB060614 non soddisfa nessuna di queste due condizioni e quindi questo oggetto potrebbe essere un buco bianco, con emissione di radiazione breve e potente.
I due scienziati terminano il loro articolo  con le seguenti osservazioni:
  1. I buchi bianchi emettono energia/materia spontaneamente come avvenne per il Big Bang. Diversamente dai buchi neri, essi non possono essere osservati in modo continuo, ma solo per poco tempo subito dopo la loro formazione.  
  2. Per i buchi bianchi in qualsiasi punto dello spazio e in qualsiasi istante, solo dopo che essi sono nati ci puo’ essere un’interazione della materia eiettata all’esterno con l'universo circostante. Questo oggetti sono istantanei e non si estendono temporalmente.
  3. Alcune delle sorgenti GRB (gamma ray bursts) individuate potrebbero essere spiegate con dei buchi bianchi. Queste non possono essere spiegate come delle eruzioni di supernovae e possono trovarsi sia all’interno di galassie che negli spazi tra le galassie.
  4. Il processo di formazione di un buco bianco e’ un processo randomico che puo’ essere usato per spiegare la formazione di strutture asimmetriche nell’universo iniziale. 

E qui mi fermo per il momento con la promessa di ritornare su tematiche simili in tempi futuri.




venerdì 28 ottobre 2011

Un’altra prova a sfavore dei neutrini superluminali

La saga dei neutrini superluminali continua. E un’ulteriore prova si aggiunge a quella dei giorni scorsi pubblicata anche su questo blog. Questa volta la prova viene da un altro esperimento sui neutrini sempre presso il Gran Sasso chiamato ICARUS. Questo esperimento come OPERA ha rivelato i neutrini “sparati” dal CERN sin dal 2010 (Link).
Ora se i neutrini rivelati da OPERA fossero realmente superluminali, secondo due scienziati della Boston University, Cohen e Glashow (premio Nobel per la Fisica nel 1979) questi dovrebbero perdere la loro energia durante i 730 Km che separano il CERN dal Gran Sasso, producendo coppie di elettroni e positroni, in modo analogo alla luce Cherenkov emessa quando una particella attraversa un mezzo ad una velocita’ superiore a quella della luce nel mezzo stesso. Essa e’ la causa del colore azzurrino delle piscine in cui sono immersi i reattori nucleari.



La produzione di coppie elettroni/positroni con relativa perdita di energia dovrebbe deformare lo spettro energetico dei neutrini in arrivo al Gran Sasso. Ed e’ proprio questa pertubazione che non e’ stata osservata in un anno di dati prodotti da ICARUS confutando cosi’ l’ipotetica osservazione di neutrini superluminali del team di OPERA. 
Vediamo i dettagli. Secondo l’osservazione di Cohen e Glashow, i neutrini superluminali dovrebbero emettere della radiazione a causa della presenza delle Interazioni Deboli. In particolare l’emissione di elettroni e positroni dovrebbe avvenire ad una energia data da:


dove




e’ il valore identificato da OPERA, m la massa dell’elettrone, c la velocita’ della luce e v la velocita’ dei neutrini.
Questo fa si che la soglia di energia sia di circa 140 MeV.
Secondo i calcoli effettuati dai due scienziati dell’Universita’ di Boston (Link) l’energia finale dei neutrini dopo aver percorso una distanza L avendo un’energia iniziale Ei dovrebbe essere data da:




dove k e’ una costante. Osserviamo che una volta stabilita la distanza L (nel nostro caso 730 Km), conoscendo l’energia iniziale dei neutrini e misurando quella finale e’ possibile ricavare la differenza tra la velocita’ dei neutrini e quella della luce   o viceversa assumendo un certo valore di delta e conoscendo L e l’energia iniziale dei neutrini e’ possibile predire l’energia finale dei neutrini e confrontarla con quella misurata.
L’esperimento ICARUS consiste di 760 tonnellate di argon liquido super-puro che opera come una camera a bolle  registrando tutti gli eventi che depositano un’energia superiore alle centinaia di MeV all’interno di una finestra di 60 us centrata intorno all’impulso di neutrini inviato dal CERN. 

                                                               Esperimento ICARUS


L’apparato e’ capace di rivelare i neutrini muonici inviati dal CERN grazie all’interazioni di quest’ultimi con gli atomi di argon che producono una particolare traccia che dipende dall’energia del muone che viene creato da queste interazioni.

                                                   Tipico evento registrato da ICARUS.         


Misurando l’angolo theta mostrato nella figura precedente  e’ possibile ricostruire l’energia del muone che ha creato il segnale. Da quando e’ entrato in funzione, ICARUS, ha registrato circa 100 eventi di questo tipo, non tantissimi ma sufficienti per costruire lo spettro di energia dei muoni (in blu) e confrontarlo con quello aspettato (linea rossa).  


A partire dai dati del muone e’ possibile ricostruire la distribuzione energetica dei neutrini (cioe’ l’istogramma dell’energia o in altre parole quanti neutrini arrivano con una data energia) “sparati” dal CERN (in blu) e  confrontarla con quella aspettata dalle simulazioni (linea rossa).



Come si puo’ vedere dalla figura l’accordo tra i dati sperimentali e quelli aspettati e’ molto buono.  
Come detto all’inizio del post, secondo i calcoli di Cohen e Glashow, se i neutrini viaggiassero ad una velocita’ superiore a quella della luce come OPERA sembra indicare, allora la loro distribuzione di energia dovrebbe apparire distorta; in particolare per un delta nell’intervallo indicato da  OPERA
(5E-5), l’energia media dei neutrini dovrebbe essere di circa 15 GeV contro i ~28 osservati da ICARUS e inoltre non ci dovrebbe essere nessun evento ad energia  superiore  a ~15 GeV (vedi linea in viola nella figura sottostante).  Ma cosi non e’. Ci sono tanti eventi al di sopra di ~15 GeV e in media i neutrini hanno una energia ben superiore a quella prevista da Cohen e Glashow nel caso essi viaggiassero ad una velocita’ superluminale.

                                                    (da http://scienceblogs.com/startswithabang/)


Sempre secondo la teoria di Cohen e Glashow, nel caso in cui i neutrini fossero superluminali, dovrebbero perdere la loro energia emettendo coppie elettroni-positroni e quindi arrivare con un’energia media pui’ bassa al Gran Sasso (15 GeV contro i ~28 GeV) che avrebbe comportato l’osservazione di una distribuzione di energia dei muoni (linea in violetto) molto diversa da quella osservata (punti blu).

Si tratta di una differenza enorme specialmente ad energie superiori ai 15 GeV. Quindi i dati di ICARUS in modo inequivocabile mostrano un’inconsistenza sostanziale con quelli di Opera. Ulteriore conferma di un qualche possibile errore fatale fatto dal Team di OPERA.
Non ci resta che rimandare ad un futuro prossimo la possibilita’ di trovare nel nostro universo delle particelle tachioniche.   

mercoledì 19 ottobre 2011

Neutrini piu’ veloci della luce? Forse trovato l'errore

Alcune settimane fa quando i responsabili dell’esperimento Opera hanno pubblicato i risultati della loro ricerca sulla velocita’ dei neutrini sembrava che alcune delle leggi fondamentali della fisica venissero messe duramente alla prova. 
La stampa e i vari blog hanno dato grande risalto alla notizia con titoli che sembravano mettere in discussione la relativita’ di Einstein.
In questi ultimi giorni, invece proprio la relativita’ di Einstein sembra rimettere tutto in discussione grazie ad una ricerca di alcuni scienziati che hanno spiegato il perche’ dei 60 ns di differenza trovati da Opera rispetto al valore aspettato.  
L’elevata velocita’ dei neutrini e la relativa distanza non molto grande tra il CERN e il Gran Sasso, significa dover conoscere con estrema precisione la distanza tra la sorgente (CERN) e il rivelatore (Gran Sasso) nonche’ l’istante in cui i neutrini lasciano la sorgente e quello in cui arrivano al rivelatore (il tempo impiegato dai neutrini per coprire la distanza CERN-Gran Sasso si chiama tempo di volo). 
Durante l’esperimento Opera, sembra che i ricercatori che hanno usato i GPS  per misurare la distanza e il tempo di volo abbiano dimenticato di considerare una variabile fondamentale: la relativita’ appunto.
E’ quello che emerge dallo studio del ricercatore  Ronald A.J. van Elburg dell'Università di Groningen, in Olanda che ha scritto un articolo in cui spiega come  “gli effetti della relativita’ richiedono 2 correzioni alle misure del tempo di volo dei neutrini”.
Queste correzioni alterano il tempo di volo dei neutrini di ~64 ns facendo si che la velocita’ dei nuetrini, all’interno degli errori di misura, sia uguale a quella della luce.
Comunque Van Elburg non e’ il solo scienziato che sta lavorando alla verifica dei risultati dell’esperimento Opera.  In 3 settimane dopo l’annuncio del CERN ci sono stati piu’ di 80 articoli pubblicati sul server arxiv per spiegare i possibili errori fatti durante l’esperimento dei neutrini.
Mentre alcuni scienziati cercano di spiegare il risultato di Opera ricorrendo ad una nuova fisica, come i neutrini che viaggiano attraverso dimensioni extra, o neutrini che viaggiano ad una velocita’ superiore a quella della luce ma solo a particolari energie, altri cercano spiegazioni meno rivoluzionarie cercando eventuali errori nei dati dell’esperimento.  
Vediamo adesso in dettaglio i risultati di Van Elburg.
Come tutti sanno, l’esperimento di Michelson e Morley,  ha dimostrato che la velocita’ della luce e’ la stessa in tutti i sistemi inerziali, e su questo assioma Einstein costrui’ la relativita’ speciale. Anche se la velocita’ della luce e’ invariante rispetto ad un cambio di sistema di riferimento inerziale, la relativita’ speciale non preserva la distanze e il tempo separatamente. Infatti affinche’ la velocita’ della luce sia costante in tutti i sistemi di riferimento e’ necessario correggere la distanza e il tempo con il cosiddetto fattore di trasformazione di Lorentz. In aggiunta la descrizione di eventi  e’  diversa a seconda dei sistemi di riferimento, in altre parole un cambio di prospettiva comporta un diverso scenario.  
Questo cambiamento di scenario diventa importante se vogliamo calcolare la velocita’ di una particella usando una sorgente A e un rivelatore B separati da una distanza fissa Sb nel sistema di riferimento solidale con la Terra e utilizzando un orologio che invece si muove con una velocita’ v dalla sorgente A verso il rivelatore B. Ma perche’ l’orologio si muove verso B?
Il tempo di volo e’ un parametro molto difficile da misurare. Il team di Opera riporta che è riuscito a calibrare con estrema precisione i due istanti importanti per la misurazione sintonizzando gli orologi presenti ad ogni capo dell'esperimento.
Sono riusciti a fare cio’  grazie ai satelliti GPS. Ognuno dei satelliti trasmette un segnale molto accurato dall'orbita, a circa 20 km di altezza. Questo comunque introduce una serie di complicazioni che il team ha dovuto considerare, come il tempo necessario al segnale per arrivare sulla terra.
E' facile pensare che il moto dei satelliti sia irrilevante. Dopo tutto, le onde radio che portano il segnale  viaggiano alla velocità della luce, a prescindere dalla velocità dei satelliti. Ma c'è un'ulteriore sottigliezza da considerare. Anche se la velocità della luce non dipende dal sistema di riferimento, il tempo di volo dei neutrini si. In questo caso, ci sono due sistemi di riferimento: l'esperimento sulla terra e gli orologi in orbita. Se questi si muovono uno rispetto all’altro allora questo va tenuto in considerazione.
Dal punto di vista di un orologio a bordo di un satellite GPS, la posizione della sorgente dei neutrini al CERN e quella del rivelatore al Gran sasso, cambia continuamente. "Dalla prospettiva dell'orologio, il rivelatore si muove verso la sorgente e di conseguenza, la distanza percorsa dai neutrini, misurata dal sistema di riferimento dell’orologio, è più corta" ha spiegato van Elburg. Ovviamente con questo intende che la distanza è più corta della distanza misurata nel sistema di riferimento a terra.
Calcoliamo il tempo di volo di particelle come i fotoni, che viaggiano alla velocita’ della luce da A in B, nel sistema di riferimento dell’orologio in orbita e confrontiamolo con quello misurato da un sistema di riferimento sulla Terra.
La distanza Sc tra la sorgente A e il rivelatore B nel sistema di riferimento in orbita e’ legata alla distanza misurata nel sistema di riferimento solidale con la Terra Sb tramite il fattore di Lorentz:


Da un punto di vista dell’orologio in orbita il rivelatore B si muove verso la sorgente A ad una velocita’ v. E quindi la distanza Sc sara’ coperta dai fotoni in un tempo nel sistema di riferimento dell’orologio dato da:


Da queste due relazioni ricaviamo che:



Nel sistema di riferimento solidale con la Terra invece il tempo impiegato dai fotoni per percorrere la distanza Sb non e’ dato da:




  come assunto dal team di Opera ma da:

 
 
La differenza tra questi due tempi  e’ data da:
 
 



Per calcolare questo valore abbiamo bisogno di ricavare la velocita’ del satellite GPS. Questa e’ data da:



dove R e’ la distanza tra il centro della Terra e il satellite e T il periodo di rotazione del satellite intorno alla Terra. R sara’ dato dalla somma del raggio terrestre piu’ l’altezza del satellite dalla superfice della Terra, cioe:

I satelliti GPS considerati nell’esperimento Opera orbitano da Ovest ad Est lungo un piano inclinato a 55 gradi rispetto all’equatore con un periodo di 11 h 58 min cioe’ circa 12 ore.  
Questo fa si che la velocita’ sia uguale a:


Sapendo che la distanza tra A e B e’ di:



e che:


otteniamo un valore di epsilon uguale a 32 ns. In altre parole il tempo di volo osservato e’ di 32 ns piu’ corto di quello trovato se avessimo usato un orologio solidale con la terra.
Tempo, che va raddoppiato perché lo stesso effetto vale ad ogni capo dell'esperimento. Quindi la correzione totale è di 64 nanosecondi, quasi esattamente quello che il team di OPERA ha osservato. Questa analisi del prof. Van Elburg è davvero un risultato notevole anche se il problema non è ancora da considerarsi chiuso. Come sempre nella scienza, serviranno ulteriori verifiche sia dei risultati dell'esperimento OPERA che di questa e altre pubblicazioni che verranno. Alla fine si andra’ in una direzione o nell’altra  solo ed esclusivamente in base alle prove ottenute.
Se la tesi di Van  Elburg risultera’ essere decisiva, l’esperimento Opera non solo non avrà evidenziato una falla nella teoria della Relatività di Einstein, ma sarebbe un ulteriore prova a sua favore.

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